Sono politiche ben più complesse ed ampie di ciò che il termine “disabilità” immediatamente e primariamente richiama.
Tutto ciò se, però, si converge sul fatto che la finalità di tali politiche stia nello sviluppo di strategie ed azioni unitarie per la disabilità con al centro la persona ed il suo bisogno nei suoi diversi aspetti.
Secondo questo approccio alla tematica, diviene complicato identificare i soggetti interessati:
- La disabilità è una condizione che tutti possono sperimentare durante la propria vita e non un problema di un gruppo particolare di individui (si pensi alla non autosufficienza).
- La disabilità non è necessariamente connessa con la “condizione clinica” della persona
- La disabilità va valutata nel rapporto esistente fra l’individuo disabile e l’ambiente circostante di appartenenza
- Nella disabilità le variabili personali hanno un ruolo importante nel determinare l’accentuazione o meno dello stato di disabilità
La complessità nel delineare in modo univoco cosa sia disabilità ha delle importanti ripercussioni nell’analisi dei bisogni e nell’individuazione di risposte e, più in generale, di politiche di risposta adeguate.
Va da sé che stiamo parlando di politiche “trasversali” che si traducono necessariamente in azioni ed interventi aventi per tema:
- la Salute e l’Assistenza: sostegno (anche psicologico per prevenire il disagio psico-emotivo e socio-relazionale) al disabile e alla famiglia nell’accoglimento e nella cura; accompagnamento, orientamento ed informazione della persona e della sua famiglia nella costruzione e nella promozione di un progetto individualizzato di vita; facilitazione dell’accessibilità ai percorsi sanitari..
- educazione: intendendo l’ambito della formazione e istruzione. Il percorso certificatorio dell’alunno disabile è strumento affinchè trovino piena realizzazione il diritto allo studio con l’affiancamento di un insegnante di sostegno o di educatorea seconda degli obiettivi didattico/educativi che l’alunno deve raggiungere. Il ruolo del Comune deve essere quello di offrire alle famiglie un servizio – ponte, una sorta di “mediazione” fra le famiglie, appunto, la scuola, e i servizi sanitari specialistici; deve altresì garantire l’accompagnamento dell’alunno con disabilità lungo il percorso scolastico e l’orientamento dopo la scuola secondaria di primo grado. In alcune situazioni (grave disabilità), in accordo con la famiglia, è opportuno, invece, definire progetti e strategie educative alternative alla frequenza della scuola dell’obbligo (scuole speciali, CSE…)
- lavoro: in applicazione della L 68/99, i percorsi di inserimento lavorativo (SIL) sono i servizi dedicati all’inclusione socio - lavorativa delle persone disabili. La politica di un ente, in tale ambito, deve essere quella di interfacciarsi con le realtà sociali, istituzionali ed economico produttive del territorio cercando di garantire al disabile una gestione il più possibile “vicina” e territoriale del diritto di inserimento lavorativo.
- accessibilità e mobilità: incentivazione dell’applicazione della L 13/89 che prevede contributi per l’abbattimento delle barriere architettoniche negli edifici privati e pubblici, incentivazione della fruibilità dei trasporti pubblici; miglioramento dell’accessibilità intesa come “accessibilità” alle opportunità e alle informazioni circa la rete dei servizi e delle prestazioni attraverso la costituzione di “sportelli informativi” ad hoc oltre che attraverso uno “sportello web”.
- definizione di una rete di servizi capace di sviluppare connessioni per ricondurre ad unitarietà i diversi interventi: la logica è passare da una “presa in carico” verticale e specialistica ad una “presa in carico” orizzontale.
Le politiche per la disabilità devono, proprio per la loro caratteristica “trasversalità”, quindi, tradursi in un Piano di Intervento Locale sugellato da un vero e proprio “Patto/Accordo” da stipulare e concordare con le parti interessate: il disabile e la sua famiglia, in primis.
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