sabato 7 gennaio 2012

Gli adolescenti e la città...


Difficile parlare degli adolescenti se non in termini “demagogici” ed incomprensibili ai giovani stessi.
Come se noi (adulti già da un bel po'...) non lo fossimo mai stati...
Eppure, ho anche un figlio adolescente!
E, soprattutto, dove sono quando escono da casa e vagano per la città...e cosa faranno mai?
Non li vediamo, non li notiamo, si isolano...ci accorgiamo di loro solo quando ci danno fastidio coi loro schiamazzi e col rumore dei loro motorini..
E loro, invece, cosa pensano veramente? 
Credo vi siano aree di popolazione giovanile che sono fuori, si tengono volutamente fuori, non riconoscono lo spazio pubblico, la città, come incontro significativo per sé, ci rinunciano subito, sembrano apatici e disinteressati a come vanno le cose in città.
Come, quindi, ricostruire con loro la fiducia nella possibilità di essere ascoltati; la fiducia in loro stessi e nella possibilità di dire qualcosa di significativo riguardo la propria città?
Dobbiamo, credo, dar loro la possibilità di fare ciò con strumenti loro, come la musica, i video, il loro modo di “connettersi”.
Credo che oggi la sfida più delicata sia, proprio, quella di riammettere in un gioco di riconoscimento dentro la città i nostri ragazzi.
Butto là un'idea, una proposta che potrà, ai più, sembrare insignificante...
Perchè non individuare i bar/locali della città ad alta frequenza di giovani come luoghi valorizzanti ed accoglienti per le esperienze giovanili? Perchè non organizzarci affinchè si crei un circuito in cui sistematicamente ed in modo programmato vengano “veicolati” i loro messaggi espressi secondo le loro forme/modalità “artistiche” ?
Nulla di precostituito in formato “istituzionale”, se no, non funzionerebbe...  
E' impensabile creare una rappresentazione istituzionale di qualcosa che vive, che è in continuo movimento ed è alla ricerca dell’identità e di appartenenza!
Il problema della rappresentanza dei giovani, infatti, è il problema della rappresentazione di se' stessi che loro faticano a costruire, non riescono a rappresentarsi, a darsi figura sociale, non riescono a capire qual è la “vocazione” della loro generazione. 
Le politiche giovanili degli ultimi anni, invece, erano proprio incentrate nel dare e fornire ai ragazzi una rappresentanza e una rappresentazione di sé neutralizzando di fatto il protagonismo giovanile e offrendo ai giovani delle occasioni da consumare, degli spazi recintati da godere, di cui fruire. E molti denari pubblici sono stati spesi in questo...ma con che effetti, che risultati? 
Quindi, un eventuale Assessore alle politiche giovanili, cosa potrebbe fare?
Primariamente dedicare il suo tempo all'incontro e all'ascolto e, direi anche, alla conoscenza del mondo giovanile. Deve costruire relazioni creando le condizioni favorevoli affinchè i giovani siano disposti ad entrare in gioco e ciò avviene se si crea un rapporto di fiducia, se si dimostra vero interesse verso l'altro.

Poi, deve raccogliere e collegare tutte le diverse risorse esistenti già nel territorio  in termini di realtà educative già operanti e metterle in rete. Già così si crea un valore aggiunto costituito da prospettive nuove e nuove disponibilità. 

Infine, dovrebbe costruire una “vision” , una politica giovanile costituita dall'insieme delle buone prassi del suo territorio perchè solo così queste relazioni e questi progetti condivisi diventano e restano patrimonio per la città. Questo vale più di mille servizi o iniziative organizzate che sono autoreferenziali e muoiono senza lasciare alcun segno.
Le politiche giovanili devono essere politiche di cittadinanza più ampia, non possono più pensare solo al tempo libero degli adolescenti o dei giovani. 
Gli attori da coinvolgere sono le scuole che devono diventare “cantieri” di lavoro sociale e di esperienza lavorativa per chi è al termine del percorso di istruzione obbligatoria, anche attraverso esperienze che vedono gli adolescenti responsabili di altri bambini. 
Altro attore fondamentale è l'oratorio:  presenza vitale del territorio ricca di attenzioni educative e di volontari che necessariamente deve costruire rapporti con la scuola media e con gli insegnanti, affinchè ciò che di educativo viene raggiunto nel tempo scuola, venga poi proseguito nel pomeriggio in oratorio, che conseguentemente, va oltre il proprio ruolo “pastorale” aprendosi alla città.
Quindi, non un luogo solo per “agganciare” gli adolescenti, ma più di uno e tutti in relazione gli uni con gli altri.
E' ovvio, quindi, che si tratta di strategie territoriali con le quali è possibile fare economia, per le quali non servono tanti soldi, ma grazie ad esse è possibile “generare” risorse che possono essere messe a disposizione con risultati permanenti.ccon


LA

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