Scrivo sui giornali...


Articolo uscito su "Dialoghi", foglio informativo del circolo ACLI di Senago, a dicembre 2010
Ridisegnare il welfare per la famiglia:
“prove tecniche di conciliazione”
Il tema all’attenzione delle politiche sociali odierne è sicuramente volto a individuare azioni di valorizzazione della famiglia con l’intento di intraprendere proposte innovative per sostenere l’impianto dei servizi e delle politiche in atto finora affrontandole in un’ottica nuova.
In questo ridisegno di politiche, occorre interrogarsi sul ruolo di una serie di attori: le associazioni di famiglie, le associazioni educative e sociali; i consultori familiari quale importante luogo di ascolto, di accoglienza e di sostegno; il ruolo del terzo settore e del privato sociale che è oggi determinante per poter sviluppare non solo la quantità delle tipologie dei servizi, ma anche la qualità.
In un quadro di interventi profondamente incerto e complesso, sono emerse alcune forti convergenze in tema di politiche sociali per la famiglia. In particolare il dibattito politico, culturale e tecnico-amministrativo concorda sulla necessità di:
• ricondurre qualsiasi tipo di intervento, anche settoriale, entro l’alveo delle politiche di conciliazione tra lavoro di cura e lavoro per il mercato;
• utilizzare strumenti e leve di diversa natura (prestazioni in denaro o in natura; politiche dei redditi, sconti fiscali, detrazioni, esenzioni ecc.);
• coinvolgere tutti i livelli istituzionali (Stato, Regioni, Province,Comuni);
• rivolgersi alle famiglie con maggior sovraccarico funzionale: vale a dire le famiglie con figli piccoli o anziani non utosufficienti.
In un quadro di sostanziale stasi di politiche familiari coerenti  di ampio respiro realizzate a livello centrale, le municipalità anno mostrato e mostrano una maggiore dinamicità. La egge 285/1997 ha favorito, per esempio, la nascita di interessanti aboratori di sperimentazione del mix servizi istituzionali  servizi non profi t a livello locale. Inoltre il welfare municipale a conosciuto un impulso con la legge n. 328 del 2000 che ha collocato nel Comune il cuore delle politiche sociali, rovesciando a tradizionale piramide che vedeva, a cascata, Stato-
Regione- Comune, anticipando le nuove linee in tema di ussidiarietà legittimate con la riforma del titolo V della Costituzione (legge Costituzionale n.3 del 2001). A livello centrale, la tradizionale assenza di politiche esplicite e dirette, coerenti e integrate a sostegno della famiglia, che vede l’Italia come fanalino di coda nelle risorse destinate alle famiglie (come percentuale del PIL) unitamente ai preoccupanti trend che caratterizzano la famiglia italiana, rispetto a quella di altre realtà europee, hanno fatto sì che in questi ultimi anni forte e serrata sia stata la tensione verso - se non sempre la realizzazione di -politiche fiscali, dei redditi,
detassazione, della casa, a scapito di una altrettanto solerte attenzione al tema dei servizi.
Occorre, quindi, ripartire proprio dai servizi enucleando alcune linee di intervento forti, in particolare, potenziare l’esistente: nidi e tempo pieno per le scuole elementari e medie; servizi che accompagnino la famiglia lungo tutto il ciclo di vita, durante il quale tempi, ritmi e contenuti del lavoro di cura
si modificano sensibilmente. Sostenere il lavoro di cura delle famiglie, significa mettere le famiglie in condizione di poter svolgere la loro azione solidaristica, a costi umani e psicologici sostenibili, evitando il ricorso a soluzioni esclusivamente private, che spesso non tutelano l’assistito (si pensi al fenomeno
delle ‘badanti’); pluralizzare l’offerta, anche attraverso i coinvolgimento del terzo settore come produttore del servizio, superando la logica e l’impostazione del progetto.
Forte è dunque la necessità di riflettere su quale debba o possa essere il nodo propulsore di una rete di servizi, di interventi, di soggetti ed azioni integrate (sociali, sanitarie, educative, relazionali ecc.) che si muovono nel variegato e complesso campo delle politiche di sostegno al lavoro di cura: sportelli informativi,
gruppi di auto-mutuo-aiuto e di empowerment, spazi neutri, spazi di ascolto, prestiti sull’onore, servizi per la prima infanzia diversamente caratterizzati quanto a modelli organizzativi e gestionali; servizi di mediazione familiare, di mediazione interculturale. In riferimento alla domanda di servizi espressa dalle famiglie, fortemente orientatrice diventa la posizione della donna - in quanto moglie-madre-nonna e quindi care
giver per forza o per scelta - rispetto al mercato del lavoro; ed è questa partecipazione, nelle sue diverse modulazioni (tempi pieno o part-time, settore privato o pubblico, lavoro a tempo determinato o indeterminato, a progetto, dipendente o autonomo, interinale ecc.) che determina la domanda di servizi di custodia per l’infanzia, di assistenza per gli anziani, di sostegno per i portatori di handicap. Se ci si muove all’interno di questa logica, le linee di intervento per un welfare municipale attento ai bisogni delle famiglie non può che seguire la strada della razionalizzazione e della differenziazione dell’offerta dei servizi.
Razionalizzazione nel senso di individuazione del servizio maggiormente efficiente ed efficace, anche dal punto di vista gestionale (esternalizzazione, accreditamento, convenzioni) e differenziazione, nel senso di attivare servizi e gestirne gli orari in funzione di quelli che sono i tempi di lavoro di donne, che
sperimentano livelli crescenti di incertezza, insicurezza e vulnerabilità sociale ed economica. 
Se ci si muove all’interno di questa logica, le politiche dei servizi devono intercettare non la domanda di forza lavoro espressa dal mercato, ma la domanda di conciliazione espressa dai cittadini, risultato
di strategie miste pubblico-privato, formale- informale che lo Stato, la municipalità non possono definire dall’alto, non possono dare per scontate, né ignorare.
E’ in tale direzione che Regione Lombardia si è mossa con la recente pubblicazione de il “Libro verde sulla conciliazione famiglia – lavoro” (novembre 2010). Al centro i bisogni della persona e della famiglia e attorno a questi vi è il tentativo di disegnare e coordinare, in una prospettiva sussidiaria, politiche integrate che promuovano opportunità, risposte e soluzioni con il concorso di una pluralità di soggetti e attori
sociali, in primo luogo la stessa famiglia. L’unica strada che consente di rendere pienamente effettivo
il riconoscimento della centralità e del valore sociale della famiglia è riconoscere l’importanza di politiche di conciliazione famiglia – lavoro col tentativo di facilitare questa relazione e promuovere opportunità e sviluppo in entrambi i poli.
Alcune iniziative su questo fronte sono state peraltro già avviate – il Premio “Famiglia - Lavoro”, la costituzione di un Comitato Strategico Conciliazione, l’Accordo di Programma Quadro “Competitività” .
Non è un caso, infine, che il Libro Verde venga proposto all’attenzione delle istituzioni, delle parti sociali, del mondo economico, del Terzo Settore, e delle famiglie, in un momento cruciale di crisi economica e di risorse scarse nel Paese. Si propone quale strumento ed incentivo, per ogni attore sociale affinchè, ognuno, nell’ambito del proprio ruolo, possa manifestare un proprio orientamento rispetto alle suggestioni
introdotte, ma al tempo stesso fare proposte, indicare ulteriori soluzioni ai problemi, condividere ipotesi di sviluppo e assumere impegni.
A tutti i livelli istituzionali occorre cogliere l’opportunità di aprire un dibattito su questo importante tema che ricopre un ruolo prioritario nell’agenda di Regione Lombardia, stimolando iniziative territoriali di welfare locale rileggendo in chiave di conciliazione le proprie politiche e i propri programmi operativi.
Articolo uscito su "Dialoghi", foglio informativo del circolo ACLI di Senago, ad aprile 2011
I giovani come risorsa del Territorio
e non come “problema”
Si sente da più parti, istituzionali e non, parlare dei giovani come “problema”. L’ottica e la metodologia di intervento (laddove ne esistano di interventi) con cui ci si approccia a loro è quella della “prevenzione”. Anche quando vengono “sbandierati” progetti o iniziative a loro favore, quelli cosidetti di “promozione” giovanile, spesso risultano poco efficaci e disertati dai giovani. E’ vero che è difficile “agganciare” i giovani…
ma siamo sicuri che ciò sia dovuto tutto e solo a loro, al loro modo di vivere che a noi (adulti, genitori o meno) appare sempre superficiale, disinteressato, edonistico…Crediamo, invece, che, proprio passando attraverso il loro modo di essere, si possano veicolare piccoli e pochi messaggi per volta. A patto, però, che non risultino “calati” dall’alto, ma che siano frutto di un’ascolto libero da pregiudizi e dalla predefinizione di linee di intervento già programmate. 
I giovani, non hanno che prospettiva a medio ...anzi brevissimo termine. Non si può chiedere loro di avere la lungimiranza che dovremmo avere noi adulti o di programmare il loro futuro con progetti “ambiziosi” che richiedano impegno costante; e ciò per vari motivi:
1. Intanto, per cominciare, siamo noi a non essere in grado di assicurare loro niente di fondato, sicuro, certo e che abbia continuità.
2. Non è proprio ciò che a loro interessa: sono presi dai LORO mille interessi, giudicati sani o meno secondo i nostri canoni di giudizio e non si muovono se non in gruppo. E, ahimè, anche nel gruppo sarebbe “oro” trovare una “perla rara” dotata del carisma giusto e della leadership necessaria a trascinare gli altri.
Non lasciare le famiglie sole
E, quindi? C’è una ricetta già pronta? Probabilmente no…
Certo è che tutto ciò che possiamo fare e stiamo già facendo è continuare a sostenere le famiglie nell’ormai sempre più difficile ruolo di trasmissione di principi e valori educativi, morali, religiosi e senso di responsabilità fin dalle piccole cose e fin dalla tenera età. Le famiglie ne hanno bisogno, si sentono sole e sempre più spesso sono le prime cellule sociali ad essere allo sbando. Protagonisti dell’educazione sono i ragazzi, i giovani e le loro istanze.. E’ il momento di «mettersi in ascolto» e di offrire alle giovani generazioni «uno sguardo liberante dagli stereotipi del “branco” o dei “bulli” promossi dai media. E’ il momento di prendere coscienza del fatto che è il ruolo degli adulti nell’educazione che sembra essere in crisi. Nessuno
può far niente da solo…né le famiglie, né le istituzioni, né il volontariato, né gli oratori, né il mondo delle “opportunità” lavorative.
Creare a livello locale una rete, un “Patto per i giovani”
Urge mettersi d’accordo, a livello locale e mettere insieme risorse e disponibilità ad elaborare azioni di intervento comuni e aiuti concreti. Gli elementi di preoccupazione certo non mancano, ma la sfida educativa può essere «appassionante»: la possibilità di guardare in maniera “creativa” uno scenario nuovo, nel senso di creare, anche a livello locale una rete, un “Patto per i giovani”. 
Rimane, però un tema ancora più delicato e difficile: i giovani crescono e presto escono dal mondo della scuola e si affacciano nel mondo del lavoro…o almeno così era e così non si riesce più a garantire loro…Gran parte del discorso del Presidente della Repubblica a chiusura dell’anno 2010 è stato dedicato a questo problema, con una forte esortazione e sollecito alla Politica affinché attraverso uno spirito di collaborazione e di condivisione fra forze politiche e sociali si affronti insieme l’esigenza/emergenza di creare
opportunità per i giovani per evitare un distacco ormai così allarmante tra la politica, tra le stesse istituzioni democratiche e la società, le forze sociali, in modo particolare le giovani generazioni.
Sono partite iniziative nazionali, quindi, promosse da più parti (soprattutto istituzionali) per organizzare tavoli di lavoro per capire e analizzare le prospettive e le opportunità di lavoro per i giovani e per ascoltare le esigenze delle imprese.
L’obiettivo è individuare congiuntamente gli interventi necessari  rilanciare il lavoro ed il futuro dei giovani. Il governo ha finanziato degli interventi volti al sostegno dell’occupazione giovanile. E’ altresì stato tracciato il bilancio sull’attuazione del ‘Piano per l’occupabilità dei giovani’, dedicato soprattutto alla stabilizzazione del lavoro per giovani padri e madri con contratti di lavoro precari, alla promozione dell’apprendistato nei lavori tradizionali e manuali dell’artigianato, a tirocini e stage formativi. 
L’attuazione del piano si basa su sei linee d’azione:
monitoraggio per il breve e lungo periodo delle professionalità richieste dal mercato del lavoro e quelle in esso disponibili, orientamento alle scelte scolastiche e formative; integrazione scuola-università-lavoro, servizi di accompagnamento al lavoro; contratti di primo impiego, auto imprenditorialità, diffusione della cultura della previdenza e della sicurezza del lavoro nelle scuole, contrasto al lavoro giovanile irregolare e sommerso. A tal proposito bisogna ammettere che il divario tra scuola e mercato del lavoro ha assunto proporzioni sempre
più consistenti, evidenziate dalla divaricazione tra le reali possibilità di assorbimento nel comparto delle professioni ed il continuo gettito di giovani diplomati o laureati che abbiano completato il proprio iter di studi. Un’opportunità per iniziare a parlare lo stesso linguaggio fra Scuola e Imprese è partito con i “contratti di stage”, in virtù dei quali gli studenti hanno modo di seguire alcuni periodi di addestramento pratico all’interno delle aziende, così da garantirsi esperienze lavorative che, seppure non retribuite, potranno comunque valere
come primo ed importante approccio al mondo del lavoro. 
Se questa è l’unica direzione che si sta percorrendo a livello nazionale, perché non intraprenderla anche a livello locale fra le realtà a vario titolo presenti? E se non è l’Istituzione Amministrativa a partire per prima perché non iniziamo noi
(associazioni, oratori, volontari, imprese, giovani, famiglie)a fare rete con queste finalità?
Articolo uscito su "Dialoghi", foglio informativo del circolo ACLI di Senago, a settembre 2011
Finanza etica e sue applicazioni
nel sociale.
Non è facile né univoco dare una definizione al termine “finanza etica”.
L’economista Jacopo Schettini Gherardini la definisce così:
«Quando nel mondo del credito si parla di “finanza etica”, generalmente si assiste all’esposizione del seguente concetto: se il denaro è utilizzato per finanziare  attività “sociali”, il suo uso è “etico”. Ovviamente si
presume che in caso contrario non lo sia, o lo sia meno. Dietro questa concezione c’è sicuramente una sfumatura ideologica che antepone l’“etica del capitalismo” (in sostanza il profitto) a un’altra “etica”:
il denaro per qualcos’altro (un’ideologia, una religione, un’opinione ecc.). La ragione,comprensibilmente,
risiede nell’attitudine di una parte del mondo imprenditoriale a interpretare il capitalismo come una corsa selvaggia al denaro, dimenticando purtroppo che i valori sui quali si fonda sono anche altri. Da qui la comprensibile reazione, che pone l’accento sulla “finalità” nell’uso del denaro quale elemento discriminante per giudicare l’“eticità” dell’investitore e dell’investimento».
Diverse sono le applicazioni della finanza etica: vi vengono infatti fatte rientrare numerose e diverse esperienze, da quelle dei fondi comuni di investimento etici, alle fondazioni, alle banche o cooperative
finanziarie etiche. Ciò è dovuto principalmente alle diversità sociali, legislative ed economiche che si riscontrano nei diversi Paesi. Diversi sono anche gli intermediari finanziari etici o alternativi che sono venuti a crearsi nei vari Paesi:
Associazioni senza scopo di lucro e fondazioni
Società cooperative
Società di investimento dell’Economia sociale
Banche.
Differenti sono altresì i “prodotti” inseriti nel mercato finanziario:
1) Prodotti etici in senso stretto che offrono all’investitore la garanzia di un uso equo e moralmente corretto
del denaro.
2) Prodotti indirizzati che utilizzano il capitale raccolto a sostegno di specifiche attività socialmente utili.
3) Prodotti umanitari che hanno l’obiettivo di incrementare le risorse destinate alla solidarietà internazionale.
In Italia il settore è rimasto parecchio ingessato a causa della legislazione bancaria italiana che ha contribuito
a creare poca flessibilità nel sistema creditizio.
I primi esempi risalgono agli anni 70 con la Mutue di Autogestione (MAG) che garantivano l’accesso al credito
a quelle cooperative ed associazioni che operavano, senza scopo di lucro, in attività di carattere sociale
ed ambientale.
Negli anni ‘90, grazie all’accresciuto interesse verso il non-profit, assistiamo in diversi comparti della finanza
italiana ad una crescita di strumenti o intermediari chiamati ‘etici’. Nella prima fase soprattutto per una questione di immagine, poi, negli ultimi anni si è compreso che l’economia sociale può avere notevoli
potenzialità di sviluppo economico ed occupazionale (es. Banca Etica; Fondazioni bancarie con lo scopo di finanziare progetti di utilità sociale nei campi della ricerca scientifica, istruzione, arte, tutela dei beni culturali e ambientali, sanità, assistenza alle categorie sociali deboli).
In Italia, però, non sono presenti molti esempi di società che analizzano la responsabilità sociale ed
ambientale degli investimenti. Etica e finanza possono dunque lavorare insieme senza snaturarsi. La
garanzia che un impresa sia veramente quello che dice di essere o che un fondo con certezza investa in attività sociali ed eticamente compatibili, ci viene data da alcuni importanti Istituti internazionali che svolgono attività di analisi, verifica, certificazione etica che viene rilasciata sulla base di criteri quali:
protezione dell’ambiente e riciclo dei rifiuti;
progetti per il terzo mondo;
assistenza degli anziani;
assistenza sanitaria;
progetti di riscaldamento a basso livello di inquinamento;
notevole impiego di personale con tutte le tutele;
imprese che sono particolarmente attente alla qualità dei prodotti;
salute e sicurezza;
educazione e formazione professionale;
tempo libero e divertimento.
Le imprese etiche attirano un maggior numero di investitori e quindi hanno un costo del capitale più contenuto
rispetto a quelle che respingono gli investitori più sensibili eticamente. Inoltre gli azionisti sono maggiormente
coinvolti nelle vicende delle imprese finanziate. Tali imprese, inoltre, sono più attente e quindi in grado di evitare in misura maggiore situazioni che influiscono negativamente sui risultati aziendali, come i disastri
ambientali, la conflittualità con i dipendenti, cause di risarcimento. La finanza etica applicata all’edilizia sociale cerca di fornire risposte all’emergenza abitativa cercando di conciliare le politiche abitative in un contesto di riduzione della spesa pubblica nelle Pubbliche Amministrazioni con la capacità di attirare risorse private per
realizzare progetti di interesse pubblico che devono essere necessariamente attraenti ed appetibili per
l’investitore privato. Strumenti come sgravi fiscali (Ici, oneri di urbanizzazione...) rendono convincibili tali strumenti agli occhi degli investitori privati che si possono rendere disponibili ad accettare rendimenti calmierati proprio in virtù dell’interesse pubblico e sociale delle iniziative edilizie. In tali casi, il contributo pubblico può essere veramente minimizzato.
Sono sorte fondazioni rivolte all’housing sociale per sperimentare e promuovere modelli innovativi per il finanziamento, la realizzazione e la gestione di interventi di edilizia sociale, più recentemente definita Edilizia
Privata Sociale (EPS). La Fondazione housing sociale è stata promossa dalla Fondazione Cariplo, in collaborazione con la Regione Lombardia e ANCI Lombardia per incrementare gli strumenti disponibili in questo settore. Sono quindi stati concepiti modelli innovativi,che si basano sui principi della sostenibilità e dell’investimento responsabile cercando di coinvolgere nelle iniziative anche altre istituzioni pubbliche e private,con scopi diversi da quelli dei fondatori ma comunque interessate al sostegno del territorio.
L’investimento per la realizzazione di un intervento di Edilizia Privata Sociale richiede di affrontare e coordinare aspetti molto diversi tra loro. 
Oltre alle dimensioni finanziarie ed edilizie, tipiche di un intervento immobiliare, è necessario sviluppare la dimensione dell’interesse pubblico e sociale dell’iniziativa curando la sostenibilità sociale, la progettazione di servizi dedicati a particolari categorie di utenza e la qualità dello spazio pubblico.
Ciò comporta la necessità di coinvolgere soggetti e interessi diversi, sia pubblici che privati, all’obiettivo comune di creare le condizioni necessarie alla realizzazione dell’intervento. Il Fondo immobiliare
etico “Abitare Sociale 1”, ad esempio, è natoper attuare il Progetto Housing Sociale promosso dalla Fondazione Cariplo insieme alla Regione Lombardia e a primarie istituzioni pubbliche e finanziarie del territorio lombardo. “Abitare Sociale 1” sta oggi realizzando a Milano - nel quartiere di Figino, in via Cenni e in via Ferrari - tre interventi che insieme a quello di Crema, i cui alloggi saranno consegnati a luglio 2011, rappresentano un totale di circa 600 appartamenti e 220 posti letti di residenza temporanea.
Un’altra esperienza si è sviluppata a Parma con il progetto Parma Social house: un progetto integrato, promosso dall’Amministrazione comunale, che coniuga lo sviluppo urbano con le politiche socio-abitative,
programmato tramite il ricorso ad azioni intersettoriali innovative e sperimentali. Tramite un bando pubblico, il Comune ha affidato a un associazione temporanea partecipata da imprese edili e da cooperative di abitanti
di Parma la realizzazione di un progetto di Edilizia Privata Sociale che si sviluppa su sette aree, dedicato
alla sperimentazione di nuove forme di abitare sociale.
A fronte del crescente bisogno di nuovi interventi di edilizia sociale e della strutturale scarsità di risorse
pubbliche, la principale tendenza in atto è quella di sviluppare partnership pubblico-privato all’interno delle quali le amministrazioni contribuiscono attraverso la gestione del territorio, affinché gli operatori privati siano incentivati ad attuare delle iniziative di interesse pubblico e sociale, ad esempio ottenendo aree comunali a basso costo, premi volumetrici o altre incentivazioni urbanistiche.
Il principale apporto di Fondazioni come quella di Housing sociale è quello di facilitare questo incontro, questo
dialogo, finalizzandolo alla qualità dei contenuti, in primo luogo quelli edilizi e quelli sociali. La strategia è
quella di investire focalizzando la progettualità su iniziative che promuovano l’Abitare sociale, inteso come
insieme di alloggi e servizi orientati ad affrontare, in collaborazione con il terzo settore e con la pubblica
amministrazione, situazioni di svantaggio economico e sociale.
In regione Lombardia si è ancora solo all’inizio di un percorso di edilizia fondato su principi dell’ housing
sociale..Si pensi che solo di recente la Regione sta cercando di definire un modello di housing sociale stimolando e ricercando idee e progetti in materia di fondi immobiliari applicabili all’edilizia sociale.
Certamente non saranno modelli che possano dare risposte definitive e complete al tema/problema
dell’abitare, ma sono percorsi che vanno intrapresi e stimolati in quanto sicuramente innovativi e di ausilio al
problema dell’emergenza abitativa che colpisce ormai numerose fasce sociali del Paese.
Articolo uscito su "Dialoghi", foglio informativo del circolo ACLI di Senago, a dicembre 2011
Saper ascoltare per ben amministrare
La prima caratteristica che dovrebbero avere dei buoni amministratori è quella di saper ascoltare.
Ascoltare la voce dei propri cittadini ed i loro bisogni,dare voce a chi di solito non ne ha, ricercare per loro le migliori tutele e, nel contesto generale del difficile momento economico, riuscire ad assumere delle decisioni, individuando le priorità e dando risposte efficaci e di buon senso in un contesto di risorse scarse.
La seconda caratteristica che dovrebbero avere dei buoni amministratori è quella di ricercare il confronto con i propri concittadini.
Confrontarsi sulle proprie idee ed accettare le critiche costruttive che propongono miglioramenti, per verificare se le idee proposte risolvono davvero i problemi o i bisogni espressi, per comprendere se il proprio
programma amministrativo e politico è ancora attuale ed efficace nella lettura delle priorità e delle azioni da intraprendere oppure necessita di aggiornamento.
Per essere davvero vicini ai problemi della propria comunità e non diventare autoreferenziali.
La terza caratteristica che dovrebbero avere dei buoni amministratori è quella dell’umiltà e della difesa dei valori comuni.
L’umiltà di ammettere eventuali propri errori, l’umiltà di saper agire in base all’interesse della collettività
e non per proprie aspirazioni personali o di parte, l’umiltà di trovare insieme la strada da seguire difendendo sempre i valori propri della Costituzione, mettendoci la faccia sia come uomini e donne pubblici, ma soprattutto come uomini e donne nella sfera della vita privata.
I buoni amministratori devono dare l’esempio.
Non possono arroccarsi nelle proprie idee e principi rendendoli vani e poco efficaci ma uscire dai confini di una sterile politica ed aprirsi al confronto sui problemi della città e su come risolverli, e soprattutto, capire come spendere al meglio le poche risorse economiche a disposizione.
Non ci si può solo lamentare dei continui irresponsabili e scellerati tagli del Governo ai trasferimenti agli Enti Locali e stare ad assistere ad un’azione di progressivo “stritolamento” dei servizi più vicini ai cittadini.
I buoni amministratori devono reagire e trovare soluzioni strutturali che consentano di mantenere la qualità della vita che si è raggiunta e i servizi destinati alle categorie protette ed alle famiglie, senza abbandonare il sogno di vedere la propria città migliore non a discapito delle risorse del singolo cittadino.
In tutto questo, rimane dovere di ogni cittadino partecipare attivamente alla vita della propria città perchè con l’interessamento e l’attivazione diretta dei cittadini si contribuisce ad aiutare chi amministra a dotarsi di una visione del futuro capace, a sua volta, di suscitare partecipazione e speranza.
Le politiche per promuovere la partecipazione dei cittadini a livello municipale sono un fenomeno molto recente, in evoluzione e caratteristico solo di alcuni tipi di Amministrazioni.
Ciò che viene dimostrato con questi metodi di fare politica è che la condivisione della popolazione alla vita della comunità risulta una chiave di svolta per il successo delle politiche attuate.
Ad esempio, politiche di sostenibilità si realizzano solo se i cittadini vengono così profondamente coinvolti da essere disposti anche a cambiare i propri comportamenti pur di raggiungere determinati obiettivi.
Democrazia Partecipata significa presenza diretta e valorizzazione dell’azione propositiva del cittadino nel governo della città e la sua attuazione passa attraverso strumenti operativi come:
il Bilancio partecipato; il PGT partecipato; il bilancio sostenibile; il bilancio sociale; il bilancio di mandato...
Finalmente dovrà trovare adeguata attenzione nelle azioni degli Amministratori pubblici il concetto di accountability ossia la necessità che la Pubblica Amministrazione renda conto dell’attività svolta e dei suoi risultati ai suoi stakeholder (cittadini) in tutte le dimensioni dell’attività e dei risultati dell’amministrare.
La quarta caratteristica che dovrebbero avere dei buoni amministratori è quella, infine, di mettere in atto un vero e proprio “controllo strategico” della propria azione amministrativa, quale processo di riforma delle amministrazioni pubbliche. 
Le informazioni, le proposte, i dati che discendono dall’applicazione degli strumenti partecipativi devono essere utilizzati dall’Amministratore per rendere servizi efficienti ed efficaci tenendo in debita considerazione l’esigenza di contenimento della spesa pubblica che porta nella direzione di una maggiore attenzione nei confronti delle modalità d’impiego delle risorse e di una particolare tensione al conseguimento dei risultati intesi come realizzazione dell’economicità globale.

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